Favola moderna del mondo dell’infanzia-adolescenza: nuovo argomento di elezione di Simona Vinci.

Un racconto lungo , che ricorda una favola, anche se , sarebbe dovuto essere un dramma per la radio. In effetti, del dramma mantiene tutto: la struttura scarna, lo scenario minimale, il dialogo e l’unità di tempo e di luogo.

Protagonisti della vicenda sono tre fratelli: la diciasettenne Cate,il quattordicenne Matt e il piccolo Billo  .

Tutto avviene  in una sola notte , l’ultima che i tre fratelli , trascorrono insieme.

Dopo la morte della mamma ,i fratelli vivono l’angoscia di finire in un Istituto e di essere separati. In una casa con poche cose: la televisione, una cassettiera, un grembiule che pende da un gancio…

Si avverte il senso di assenza, un accenno alla mamma e poi il silenzio.

Il racconto ricorda le favole dei bambini, in cui c’è sempre una mamma che muore e l’arrivo di una matrigna malvagia (interpretato,qui, in chiave moderna, dall’assistente sociale).

I ragazzi vivono il senso di solitudine, lo strappo del nucleo familiare, la disgregazione degli affetti.

Per addolcire la paura di quello che li aspetta , Matt chiede alla sorella di raccontare una fiaba ,una fiaba è il racconto della loro storia: una fuga nel bosco, il  fratellino che viene trasformato in un capriolo, e il  re che sposa la fanciulla.

La favola di Cate si interrompe in continuazione per tornare drammaticamente alla realtà che stanno vivendo e allora ecco affiorare i ricordi: la nascita di Billo, la morte del padre, la depressione della madre.

E insieme arrivano anche altri pensieri e sentimenti più incofessabili, quelli che martellano la mente senza che si riescano a soffocare, che si esprimono con parole spezzate perché fanno paura.

L’attrazione, inevitabile ma sentita come colpevole, tra fratello e sorella, la domanda “si può fare qualcosa per trattenere le persone?” e l’accorata constatazione “non ci voleva bene”.

 E si parla della mamma, del modo in cui  se n’è andata, e la domanda, “gli hai detto che siamo stati noi?”, che si spalanca su un buio di possibilità.

Come nella favola di Grimm, anche qui il bosco ha una valenza duplice: è una possibilità di fuga, un sollievo temporaneo dall’atmosfera chiusa dei ricordi, ma è pur sempre buio, con cespugli che graffiano, con rumori che non si riescono ad identificare. E l’uscita dei tre fratelli nel bosco , finirà con una corsa precipitosa per rinchiudersi di nuovo nella sicurezza della casa.

Sono troppo giovani per affrontare il mondo da soli. 

Quell’ultima notte che i tre passano insieme ricorda una veglia  funebre alla madre, morta solo da pochi giorni, ma la cui presenza nella casa è ancora tangibile, e una veglia alla loro infanzia ormai per sempre perduta. Ma, nello stesso tempo, questo tempo di veglia che segna il passaggio tra l’infanzia ormai perduta e la possibilità di diventare finalmente adulto è esso stesso un momento formativo, cioè il momento in cui i tre, in maniera diversa e con strumenti interiori diversi devono confrontarsi per poter crescere con le proprie paure e con le proprie ossessioni, e con la notte ,per eccellenza  zona dell’incertezza e dell’indeterminatezza.

Un favola che a primo impatto mi aveva deluso.

Lo avevo trovato slegato e quasi superficiale, lasciandomi addosso un senso di disorientamento, solitudine e angoscia. Sono state  queste emozioni che mi hanno spinto a leggerlo ancora.Occorrono più letture per entrare dentro alla potenza di questo piccolissimo capolavoro. Le parole, le immagini, le suggestioni, sono accuratamente dosate mai troppo, mai troppo poco.