Franz Kafka si trasferisce per alcuni mesi nel villaggio boemo di Zürau,dove sua sorella Ottla lavorava nella fattoria del cognato Hermann, per curarsi dalla tubercolosi. Sarà lì che si consumerà la storia d’amore con Milena Jesenská.
Milena e Franz si erano conosciuti fugacemente in un caffè di Praga,nella primavera precedente,quando Milena aveva iniziato a tradurre in ceco alcuni racconti di Kafka.
Tra i due nascerà l’amore e lui , tra aprile e dicembre del 1920, le spedirà qualcosa come centotrenta lettere. Non sarà un caso se a un certo punto le affiderà anche i suoi diari.
Milena Jesenská
Di famiglia cristiana, figlia di un famoso chirurgo praghese, colta e insofferente delle convenzioni bigotte del suo ceto, Milena era una persona libera. A ventiquattro anni aveva già un ricco bagaglio di illusioni ed errori,per i quali era stata bandita dalla famiglia e si era trasferita a Vienna facendo la fame,o quasi.
Il suo errore? Il matrimonio con un ebreo, lo scrittore Ernst Pollak, anche lui di Praga, ben conosciuto da Kafka.
Franz Kafka e il sesso
Kafka era “tormentato” dal desiderio sessuale, e il biografo Reiner Stach afferma che la sua vita fu quella di un “incessante donnaiolo”,condizionato da una forte paura di “fallimento sessuale”.Per la maggior parte della sua vita adulta, frequentò bordelli e si interessò di pornografia.
Ma, se da una parte nutriva questa forte spinta sessuale,dall’altro aborriva la carnalità e il suo stesso corpo.
Franz e Milena
Kafka vive come un’ossessione il rapporto con Milena. Quasi lo teme, per un’accezione che per lui non è mai negativa, come conferma con la frase: “La mia paura è la mia essenza, e probabilmente la parte migliore di me stesso”. Ha paura di non rivedere più Milena e allo stesso di rivederla, di allontanarsi e di avvicinarsi, di veder crescere smodatamente il sentimento mentre la sua vita gli sta scivolando via. Milena diventa il suo tutto, l’unico sollievo in un mondo che gli è estraneo. “O tu sei mia e tutto va bene, o invece ti perdo e allora non c’è niente…niente di niente. E certo è qualcosa di blasfemo costruire in questo modo così su una creatura umana”
Due cose lo tormentano: il senso della sua oppressione , che rischia di far sì che Milena sprofondi con lui nell’oblio; e l’ossessione della «sporcizia», che lo allontana da ogni piacere carnale .
«Io sono sporco, Milena, infinitamente sporco, per questo faccio un tal putiferio con la pulizia».Scriverà.
Ed è così che, mese dopo mese di questo indimenticabile 1920, l’intimità epistolare diventa il registro di una specie di catastrofe psichica annunciata.
Il fatto è, come le scrive il 21 luglio, che sono entrambi sposati: «tu a Vienna, io con l’angoscia a Praga, e non solo tu, ma anch’io, trasciniamo vanamente il nostro matrimonio» .
Verso la fine dell’anno, i nodi vengono al pettine, subentra una certa freddezza. Le lettere a Kafka di Milena non si sono conservate, ma ne bastano un paio a Max Brod, l’amico fedelissimo, e il necrologio pubblicato nell’estate del 1924 per intuire quanto a fondo Milena, nonostante tutta la selva di ostacoli, avesse compreso e accettato quell’uomo nella sua irriducibile solitudine.
«Non ha il minimo rifugio, il minimo riparo», scrive Milena a Max Brod, «per questo è esposto a tutto quello da cui noi siamo protetti. È come una creatura nuda tra creature vestite».
Dopo la morte di Franz, Milena continuò a tradurlo e a custodire le opere che le aveva affidato. Era un’ottima giornalista, e quando i tedeschi invasero la Cecoslovacchia entrò nella resistenza, aiutando a fuggire molte famiglie ebree. Catturata dai nazisti, morì nel campo di concentramento di Ravensbrück nella primavera del 1944.
Una lettera di Franz Kafka a Milena Jesenkà
“Ancora sabato. Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire, non si ricorda che cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque sia, si trema sempre.
Capisco benissimo il tuo ceco, odo anche la risata, ma m’ingolfo nelle tue lettere tra la parola e il riso, poi odo soltanto la parola, poiché oltre a tutto la mia natura è angoscia. Non so rendermi conto se dopo le mie lettere di mercoledì-giovedì tu voglia ancora vedermi.
So il rapporto fra te e me, (tu appartieni a me, anche se non dovessi vederti mai più), lo conosco in quanto non sta nel territorio confuso dell’angoscia, ma non conosco affatto il rapporto tuo verso di me, questo appartiene tutto all’angoscia. E neanche tu mi conosci Milena, lo ripeto.
Ciò che accade è per me qualcosa di mostruoso, il mio mondo crolla, il mio mondo risorge, vedi come tu (questo tu sono io) ne possa dare buona prova.
Non mi lagno del crollo, il mondo stava crollando, mi lagno del suo ricostruirsi mi lagno delle mie deboli forze, mi lagno del venire al mondo mi lagno della luce del sole. Come continueremo a vivere? Se dici di sì alle mie lettere di risposta, non devi più vivere a Vienna, è impossibile. Milena, non si tratta di questo, tu non sei per me una signora, sei una fanciulla, non ho mai visto nessuna che fosse tanto fanciulla, non oserò porgerti la mano, fanciulla, la mano sudicia, convulsa,unghiuta, incerta e tremula, cocente e fredda.”