Vivian Maier è la protagonista del libro: “Dai tuoi occhi solamente” di Francesca Ditoallevi per Neri Pozza.
Vivian Maier: una vita nell’ombra
Fotografa statunitense, Vivian Maier, nasce a New York nel 1926. Vissuta tra New York e Chicago, lavora come tata e nel tempo libero si dedica alla fotografia documentaria, utilizzando anche filmati e audio-cassette per catturare frammenti della realtà. Caduta in povertà alla fine degli anni ’90, muore nell’aprile del 2009 in una casa di cura.
Il percorso artistico di Vivian Maier non è riconducibile ad una corrente artistica specifica. La fotografa ritrae ciò che le sembra degno di nota, sviluppando solo parte dei negativi, come se volesse custodire per sé le immagini catturate con la sua Rolleiflex 6×6.
La sua opera è stata del tutto sconosciuta al pubblico fino al 2007.
In quell’anno un ragazzo acquistò ad un’asta pubblica un baule pieno di rullini fotografici, per una ricerca che stava effettuando per conto proprio.
Il giovane, John Maloof, pubblicò online alcuni di quegli scatti, che subito ottennero un grande riscontro. Maloof cominciò quindi a fare ricerche sull’autrice. Scoprì quindi che aveva vissuto molto tempo a Chicago, mantenendosi facendo la bambinaia e scattando foto come hobby, senza mai pubblicare nulla. La madre di Vivian morì a 49 anni, e per mantenersi la giovane donna lavorò come bambinaia a Chicago, portandosi con sé il proprio archivio fotografico, che arrivò ad occupare 200 scatole di cartone.
Una volta anziana la donna visse di una rendita fornita da una delle famiglie che aveva accudito e che si era affezionata a lei.
Vivian Maier morì nel 2009, senza sapere che John Maloof stava facendo di tutto per trovarla e valorizzare il suo lavoro.
La prima mostra personale di Vivian si tenne nel 2010, incoronandola come una delle antesignane degli street photographer.
La popolarità di Vivian Maier crebbe poco dopo la sua morte. Nel 2011 fu pubblicata la prima monografia interamente dedicata a lei: Vivian Maier. Street photographer, pubblicata dallo stesso John Maloof.
Uno stile del tutto personale
La Maier non frequentò mai corsi di fotografia. Questo le permise di sviluppare uno stile molto personale e sicuramente lontano dai canoni classici insegnati nelle scuole. Interessata a scene di vita quotidiana di personaggi anonimi è stata considerata l’antesignana della street photography. Numerosi sono anche gli autoritratti che si fotografava riflessa in vetrine e specchi. Dagli anni ’70 passa alla fotografia a colori e i protagonisti delle sue opere vengono sostituiti da un nuovo interesse per elementi più astratti, oggetti, giornali e graffiti.
Alla fine degli anni ’90, ormai senza casa, la Maier è costretta a chiudere tutti i suoi oggetti in un magazzino, oggetti che saranno poi venduti all’asta.
“Ho fotografato i momenti della vostra eternità, perché non andassero perduti”
Vivian Maier in “Dai tuoi occhi solamente “
Dai tuoi occhi solamente di Francesca Diotallevi (Neri Pozza, 2018) non ha la pretesa di essere una biografia accurata di Vivian Maier: l’intenzione dell’autrice è stata quella di «tracciare non la vita, bensì l’immagine» di questa artista che si è dedicata alla fotografia «anima e corpo, custodendo però gelosamente il proprio lavoro senza mostrarlo o utilizzarlo per comunicare con il prossimo».
«Custodisco le storie che le persone non sanno di vivere»
Questa è l’espressione che meglio racconta Vivian Maier in queste pagine. Un talento incredibile il suo: vegliare «sulle esistenze di quelli che la circondavano senza sfiorarle, senza interferire, comprendendo ciò che a loro stessi sfuggiva, il mistero di quella vita che passava come una folata di vento, e come il vento risultava altrettanto inafferrabile. A meno che non lo si imprimesse su una pellicola».
Francesca Diotallevi percorre la storia crudele della vita di Vivian tra maltrattamenti solitudine diffidenza e distacco.
Un immergersi sempre più profondamente nell’esistenza di questa donna tra segreti familiari, assenza di una sana quotidianità e instabilità. Una vita fatta di ombre, di paura degli spazi vuoti che sente il bisogno di riempire con carta di giornale e fotografie, «per non sentir rimbombare l’eco della propria solitudine» e «per la paura di imbattersi in se stessa».
La fotografia
Ma c’è un momento in cui tutto si ferma, in cui la fuga non è necessaria, un momento in cui si deve fissare il momento una volta e per tutte. Ed ecco la fotografia : «la voglia bruciante di appropriarsi delle esistenze altrui, di un brandello della loro realtà».
Esattamente come le fotografie hanno bisogno della camera oscura per venire alla luce; Vivian Maier aveva bisogno della macchina fotografica per emergere dal suo abisso. Ma se dietro l’obiettivo Vivian riusciva a trovare il suo posto e trovare un senso, non andò mai oltre.
Come se temesse di uscire una volta per tutte dal cono d’ombra che si era creata per sopravvivere, non sviluppò mai le sue foto.
“Lei non esisteva, non era mai esistita. Le persone non ricordavano il suo volto, il suo nome non era mai lo stesso. Solo nello scatto viveva, diventava reale, per poi tornare a essere l’invisibile creatura a cui nessuno rivolgeva una seconda occhiata”. (Francesca Diotallevi)